Traduttore
Distinguerei tre diversi modi di fare il traduttore:
-
Tradurre unicamente per il compenso
(sempre molto scarso), correndo il più possibile,
guardando l'orologio, usando la forbice davanti a
difficoltà (apparentemente) insormontabili. Non è un
modo serio, anche se il più diffuso.
-
Tradurre con la dovuta serietà
e tutta l'onestà necessarie per trasferire in un'altra
lingua non solo il testo ma anche la voce dell'autore
(ritmo, silenzi, parole chiave, rime interne etc.). Si
può fare allora l'equazione traduttore=doppiatore.
(Equazione idealistica; nel caso della poesia è quasi
sempre una utopia.)
-
Tradurre per sé stessi,
senza mire di pubblicazione, unicamente per introiettare
il testo e la voce dell'autore: per sedersi accanto a
lui e spiarlo nel momento stesso della creazione, per
smontare e ricreare le frasi insieme con lui (sentendosi
magari geniali come lui, ahimè per poco).
Ho
iniziato in quest'ultimo modo e mi auguro di non dovere mai ridurmi
al primo.
L'autore:
Antonin Artaud (1896-1948)
Il
testo: Le suicidé de la societé (1947), il
saggio più sconvolgente e illuminante mai scritto su
Van Gogh; dove l'autore dimostra chi, e come, ha
“suicidato” il grande pittore. Un testo surrealista
che ha terremotato
la lingua francese, e rivoluzionato la letteratura
mondiale.
Già
appassionato di Van Gogh fino da ragazzino, rimasi
folgorato da quel testo. E dovetti tradurlo: per
introiettarlo, come dicevo, per spiare cosa c'è nel
laboratorio del genio; per capire e carpire qualche suo
strumento... Ero ancora molto giovane.
Come
sono arrivato a tradurre ufficialmente?
Nominato
da Bernard Moitessier quale traduttore di fiducia per
l'edizione italiana del suo ultimo libro. L'editore
romano non poté rifiutarmi... (anche se più caro).
Le
bucce di banana sul percorso del traduttore?
L'anacronismo: usare vocaboli, locuzioni,
neologismi etc. entrati nell'uso in epoca successiva a
quella del testo originale.
Farsi tradire dall'orecchio e tradurre alla lettera
vocaboli, ritmi e costruzione della frase che non
funzionano nella nuova lingua.
Le ripetizioni, che la lingua italiana non sopporta
(mentre, per esempio, in francese sono del tutto
tollerate): specie i pronomi personali e gli
avverbi che infastidiscono e appesantiscono la lettura.
Suggestioni
Se scrivere un libro è tradurre dal silenzio (come credo), tradurlo è
una scrittura al quadrato, dunque più complessa e, in
un certo senso, più difficile –
sicuramente meno libera.
Cortocircuito. Da tempo penso a un esperimento che potrebbe essere
interessante: un romanzo, spagnolo per esempio, tradotto
in italiano da un traduttore di vaglia. Il testo
italiano affidato poi a un traduttore di vaglia che lo
traduca in spagnolo... Quindi confrontare i due testi
spagnoli. Non tanto per sottolineare imprecisioni o
errori, ma per capire cos'è successo.
L'attività del traduttore sviluppa la necessità e il gusto della rilettura,
attenta e spietata, di quanto si va scrivendo. Cosa che
lo scrittore mal sopporta, rimanda e sovente non fa,
perché libero di fare quello che vuole in nome dello stile.
Libri
tradotti
L'Ippocampo Edizioni, Milano:
Storia della
Louis Vuitton Cup,
di F. Chevalier e B. Troublé (2013).
Editrice
Incontri Nautici, Roma:
Tamata
e l'alleanza,
di Bernard Moitessier (1993).
Editore
Mursia, Milano:
La via delle
Isole,
di Dominique Charnay (2000).
Cacciatori di
tempeste,
di Hervé Hamon (2001).
Sono nato due
volte,
di Alain Kalita (2001).
Conoscere e
manovrare bene la barca a vela,
di G. Barbanson (2002).
Corso di
Navigazione,
Glénans (2003).
Mermoz,
di Joseph Kessel (2004).
Allegri tropici,
di Hervé Hamon (2009).
Corso di
Navigazione,
Glénans (Nuova edizione 2011).
Casa editrice
Nutrimenti, Roma:
Pescatore
d'Islanda,
di Pierre Loti (2010)
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